sabato 19 maggio 2012

Jeffrey Campbell borchiate

Foto di Mila Ogliastro
Fumo la mia sigaretta tranquilla. Il trambusto della discoteca sa essere sorprendentemente rilassante quando si hanno mille grilli per la testa e un pacchetto di Marlboro nella pochette. Ma quelle due è impossibile non notarle. Ce l'hanno con le mie scarpe. Anche loro è impossibile non notarle. Le mie adorate Jeffrey Campbell borchiate, che non piacciono a nessuno, mi hanno portato un sacco sfiga ma mi ostino a indossare (mi fanno sembrare alta e cazzo, sono un oggetto di culto). Quelle due le fissano e le commentano, in una disinvoltura quasi arrogante che il chiacchiericcio disordinato e la musica alta di certo non tendono a sconsolare. E io che sono già abbastanza arrogante di mio rispondo con un'occhiataccia. "Notavamo che sono belle", dice una delle due. "Non lo state pensando". "No, ci piacciono. Ci vuole coraggio a metterle, ma belle". Non ci credo, ma non mi sembra il momento di intavolare una discussione sulla scarsa sincerità e le cazzate dette per stemprare brutte figure. Allora sorrido: "Sai, notavo che a qualche donna piacciono, ai maschi invece fanno sempre cagare".  La tizia, che da vicino è proprio bella, mi parla nell'orecchio: "E' che gli uomini sono spaventati dalle donne aggressive". Annuisco. 

Gli uomini sono spaventati dalle donne aggressive. Gli uomini sono spaventati dalle donne provocanti.  Gli uomini sono spaventati dalle donne che parlano troppo, dalle donne notevolmente intelligenti, dalle donne molto belle. Gli uomini sono spaventati dalle donne con un bambino. Gli uomini sono spaventati dalle donne che si affezionano. Gli uomini sono spaventati dalle donne che non si affezionano più. Gli uomini sono spaventati dalle donne femministe, dalle donne che guadagnano più di loro, dalle donne che non portano le mutande. Gli uomini sono spaventati dalle donne che hanno fretta. Gli uomini sono spaventati dalle donne che hanno molta esperienza in fatto di uomini. Gli uomini sono spaventati dalle donne che parlano di sesso ad alta voce, dalle donne forti, dalle donne in carriera, dalle donne che fanno la prima mossa, dalle donne cazzute, dalle donne che chiamano troppo, dalle donne che vogliono sposarsi, dalle donne che vogliono. Dalle donne che si aprono, dalle donne che si mostrano, dalle donne che non celano la loro normalità dietro a un vacuo alone di mistero. Se solo le donne smettessero di fingere, di dirsi nell'orecchio come veramente stanno le cose, in un tacito accordo atto a compiacere la virilità maschile, regola non scritta di cui l'uomo non vuole conoscere l'esistenza. Se solo le donne la piantassero di negare sè stesse per poter ricevere l'ombra dell'amore. In un percettibile manto di disperazione rosa pastello. 

domenica 29 aprile 2012

Scarponcini slacciati

L'ultima caramella, l'ultima di una manciata rubata ai nonni due giorni prima. Prima di partire per il campo estivo, privo di tutte quelle porcate fuori pasto di cui mi ingozzavo da piccola. La nascondevo perchè non era proprio bello mangiarmela di fronte a tutti; non era proprio un caposaldo della filosofia scout infilarsi una mano nei pantaloncini in maniera furtiva e scartarsi un bombo in solitudine. Ma come diavolo si fa a dividere una caramella? Così la misi nello zaino di Luca. Perchè avevo una responsabilità: ero un folletto. Un folletto coi controcazzi, di quelli che ti fanno trovare il sacco a pelo ben steso e il fazzolettone rifatto la sera. Di quelli che non si fanno sgamare. Il gioco del folletto, tanto per capirci, richiedeva che ciascun partecipante del branco scout facesse favori incondizionati a qualcuno, senza far scoprire la propria identità. Si infilava la mano nel sacchetto, si estraeva a occhietti chiusi un biglietto con un nome e quello era l'obiettivo. Il sorriso di lui, o di lei. Senza niente in cambio. Scoprii in pochi giorni che il piacere di qualcuno, quando non lo si ottiene per avere qualcosa in cambio, vale doppio. Riempie lo stomaco, inorgoglisce i polmoni e illumina gli occhi, che spiano il piacere altrui. E quello, che non se l'aspettava e che ora nemmeno sa chi ringraziare, di certo non deve niente a te, ma ora sa di dover qualcosa a qualcuno, e in virtù del dono ricevuto da non si sa chi sa di dover qualcosa al prossimo. Chiunque il prossimo sia. Sii il folletto di qualcuno, e avrai reso una persona migliore. Io la vedevo così, anche se forse non era proprio quella la morale. In fondo, non sapevo nemmeno allacciarmi le scarpe e già ci andavo giù di moralismi. Le scarpe, non scherzo, non me le so allacciare nemmeno adesso. E non ho mai smesso coi moralismi, anche se nel frattempo sono diventata cinica. E non ho mai smesso di pensare che incondizionato è bello. Incondizionato è la prima forma d'amore.

mercoledì 1 febbraio 2012

Piedi nudi


Sette mozziconi e una sigaretta accesa, intrappolata tra due dita e la carne delle sue labbra. Immobile e ferma, bloccata da lui, esanime se non per lui.  Una maglietta bianca, la clavicola mostrata dalla scollatura, il braccio che senza ombra di vanità muove il cotone e sposta lo sguardo di lei, tra nuvole di fumo lontane. Lei lo spia dalla finestra, come una zingara, vorace di ogni sua occhiata, ladra di attenzioni, i piedi nudi sotto una gonna di lenzuola, i capelli lunghi e spettinati, neri di solitudine e rossi di desiderio. Impietosa osserva ogni espressione, non c’è occhiata che non colga, che non rubi e riponga nel cassetto delle cose nascoste. Non c’è segreto che lo sguardo sappia celare, non c’è emozione che le parole sappiano nascondere. Sanno essere distratte, fugaci, cancellate e ripetute, ma non segrete le parole di chi le ama. Complici le parole si mischiano, fino al desiderio inevitabile, fino allo sguardo che ne farebbe a meno, di lunghi discorsi dolcissimi, di risposte tanto desiderate da sorprendere. Fino all’attesa che da i brividi, che scalda i pomeriggi freddi, che addormenta gli altri stimoli. L’attesa che sazia e che con le parole si consola perché nata dalle parole, l’attesa deliziosa e violenta, dolce tortura per loro. La bella zingara è senza le sue scarpe, senza le sue maschere è nuda e scalza. Senza vergogna questa volta, impegnata in una danza che lui sembra apprezzare, dal suo luogo lontano, dalla sua finestra vicina, sotto stelle ridenti e luci soffuse. Lontano dai suoi sonagli, senza sfiorarla, già la vuole. 

mercoledì 4 gennaio 2012

Decolté sul pavimento.

Più bella di quando stava con me, molto più bella di quando l'ho conosciuta. Posso dire con certezza di averla vista fiorire, di aver scorto la miglior luce della sua pelle quando ci stavamo lasciando. Non mi tradiva, ma era così sicura di sè da non farsene una malattia. Serena, intoccabile nella sua fedeltà. Maledettamente intoccabile. Guardala ora al suo tavolino, le gambe e le braccia come sempre al posto giusto, la mano destra che regge, senza sentirle il peso, quel viso così lineare. Quelle mani così sicure, non un tremore nei suoi gesti, ogni brivido era controllato. Una prevedibilità di cui mi innamorai. Lui chi è. Chiunque sia è più bello di me, beve birra chiara e non sembra neanche particolarmente dedito a vizi. Con quei denti bianchi e quelle gengive in vista da capra. Lei quelle scarpe le aveva prese con me, da Mauro Leone a Torino, in un pomeriggio caldissimo e con un Big Mac sullo stomaco. Io che facevo il cavaliere e le porgevo una scarpa dopo l'altra, e mi divertivo come un matto a riconoscere in lei un inconsueto momento di indecisione. La vernice lilla, intonsa, ora sfrega i jeans scuri di quel tipo, il fiocco di cuoio si piega al suo attrito. -Ridammele-, vorrei urlarle addosso, mentre me le rivedo buttate sul pavimento, nella passione che lei controllava benissimo. Ma non posso pretendere, non posso rimproverare. Se solo mi avesse tradito.