Sette mozziconi e una sigaretta accesa, intrappolata tra due
dita e la carne delle sue labbra. Immobile e ferma, bloccata da lui, esanime se
non per lui. Una maglietta bianca, la
clavicola mostrata dalla scollatura, il braccio che senza ombra di vanità muove
il cotone e sposta lo sguardo di lei, tra nuvole di fumo lontane. Lei lo spia dalla
finestra, come una zingara, vorace di ogni sua occhiata, ladra di attenzioni, i
piedi nudi sotto una gonna di lenzuola, i capelli lunghi e spettinati, neri di
solitudine e rossi di desiderio. Impietosa osserva ogni espressione, non c’è
occhiata che non colga, che non rubi e riponga nel cassetto delle cose
nascoste. Non c’è segreto che lo sguardo sappia celare, non c’è emozione che le
parole sappiano nascondere. Sanno essere distratte, fugaci, cancellate e
ripetute, ma non segrete le parole di chi le ama. Complici le parole si
mischiano, fino al desiderio inevitabile, fino allo sguardo che ne farebbe a
meno, di lunghi discorsi dolcissimi, di risposte tanto desiderate da sorprendere.
Fino all’attesa che da i brividi, che scalda i pomeriggi freddi, che addormenta
gli altri stimoli. L’attesa che sazia e che con le parole si consola perché
nata dalle parole, l’attesa deliziosa e violenta, dolce tortura per loro. La
bella zingara è senza le sue scarpe, senza le sue maschere è nuda e scalza.
Senza vergogna questa volta, impegnata in una danza che lui sembra apprezzare, dal
suo luogo lontano, dalla sua finestra vicina, sotto stelle ridenti e luci
soffuse. Lontano dai suoi sonagli, senza sfiorarla, già la vuole.
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