sabato 31 dicembre 2011

Collant

Giulia balla da sola. Musica metal che appena riconosco. La cena è finita e sono tutti mezzi ubriachi, in cinque riescono a stento a portare i piatti dalla sala alla cucina. Si scambiano battute, irriconoscibili mentre guardo lei, sprofondando in un puff nero e ingoiando caramelle Caffarel di nascosto dal padrone di casa. E' così donna stasera, un abito nero senza classe con la cerniera dorata troppo in vista sulla schiena, i capelli biondi spettinati. Un eccesso di matita nera. E quei collant ricamati. Più di quanto ci si possa aspettare da un maschiaccio come lei, mai un tacco ai piedi o una tetta di fuori. E' così donna stasera, mentre si muove al ritmo del suo vestito troppo corto che sale ancora. "Bionda senza averne l'aria", come Guccini cantava lontano da questi piatti di metallo. Balla bene e non lo sa. E' bella, e lo sa benissimo. E' bella e non lo ostenta. Ha una cultura che invidio, una schiettezza che condivido, una naturalezza ammiro. -Il pompino migliore della mia vita-, mi racconta. Rido. Non c'è niente da ridere. L'ascolterei per ore. 

venerdì 30 dicembre 2011

Paperine di pizzo rosa

-Avrai un corpo di cui vergognarti, che forse, un giorno, per affetto o per abitudine, accetterai. Avrai cosce grosse da nascondere e seni goffi da coprire. Mani troppo eleganti per sentirti una lavoratrice, capelli seducenti e occhi bramosi d'amore. Celerai le tue voglie, indegne di te, figlia mia. Mai le mostrerai a un uomo, nude e crude così come ti infiammeranno la pelle. Dona il tuo frutto come fosse l'unica tua dote, e sarai principessa. Sarai cristallo, scheggiato per sempre da mano sicura, possessiva e ferma. Sarai altrui. Sarai amata. Il sesso non è cosa tua, il sesso è delle troie, il sesso è per le donne sole, felici per pochi attimi, abbandonate poi alla compagnia di sè-. Mara strinse la manina della sua bimba e tornò a dormire. -E se avrai la fortuna di essere amata-, pensò- senza rispettare nessuna di queste regole, allora sarai libera-. 

Jeffrey Campbell dorate

Testa a terra. E' il momento del confronto. Le presenti guardano Amanda con derisione e lei sembra non accorgersene, gli occhi puntati sulla sua decoltè nera un po' consumata, sconfitta per un soffio da una strepitosa Jeffrey Campbell in glitter oro. -Due centimetri!-, decreta in ginocchio, -Le prendo-. Con un sorriso sulle labbra che denota davvero troppa aspettativa per il capodanno, Amanda si prepara per il festone annuale, con una pettinatura alla carlona che ha tutta l'intenzione di essere sciolta e un paio di pacchianissimi orecchini comprati con i soldi avanzati dalle scarpe. Prima di uscire, uno sguardo allo specchio: nessun segno dei trent'anni appena compiuti, la solitudine che l'ha privata di un uomo sempre al suo fianco le ha regalato cinque anni buoni di vantaggio. Esce di casa, con buona pace degli anziani del primo piano, che detestano la sua collezione di zeppe variopinte. La festa è in collina, uno di quei classici ritrovi tra amici che portano amici di amici che alla fine si imboscano con gli amici degli amici degli altri, poi l'anno dopo si rivedono tutti e nessuno che voglia dare l'impressione di ricordarsi qualcosa. -Amanda, cara-. Ecco, la troia, quella che le ha fottuto il ragazzo all'università e che da allora ha fatto quattro bambini senza nemmeno aver messo su un paio di chili. Cosa cazzo ci fa lei qui. -Tesoro, quanto tempo, diciamo sempre di volerci rivedere, e invece, non ci vediamo mai-. -Eh, eh, eh, belle scarpe-. La serata prosegue come da copione, il tempo delle presentazioni (che devono essere ripetute, altrimenti come si fa a far finta di non ricordarsi dell'anno precedente) ed è fatta, abbastanza ripostigli per tutti. Si rimane in quattro. Forse Amanda, presa dalle scarpe, non aveva proprio azzeccato il vestito. Fatto sta che dall'altra parte del buffet ci sono due uomini più o meno giovani, dall'aria più o meno gradevole, con l'espressione di chi attende una mossa scontata e non ha nessuna voglia di scegliere tra una bionda e una bruna che tanto non devono portare all'altare. L'altra è impietrita, un pesce fuor d'acqua. Ma ancora una volta, Amanda sembra non accorgersene, improvvisamente rapita da un'intima tristezza, unita a tanti flash back che, uno dopo l'altro, le offrono la non molto Natalizia immagine di sè stessa impegnata a soddisfare tutti quei maschietti, che provvedono venti minuti dopo a salvare il suo numero di cellulare con XY. Perchè in fondo, a una storia che possa vedere le luci della primavera, Amanda ci spera ogni volta. -Andiamo a berci qualcosa, io e te?-. Elisa ha un viso splendido. E una bocca che sembra disegnata.

Le zeppe di Fornarina


1998. Fornarina spopolava con la sua zeppa trashissima. Non c'era adolescente che non la possedesse, non c'era bambina che non volesse imitare l'adolescente che la possedeva. Non c'era azienda che non la imitasse, e a me quell'anno capitava la sottomarca. -Troppo care-, sentenziava mia madre settimanalmente, nella consapevolezza che il mio piedino martoriato dalla danza sarebbe cresciuto troppo in fretta. A ricordarmi che ero fuori moda, l'anticonformista diario Onyx in tessuto di jeans, con quelle ragazzine un po' sovrappeso e molto hip-hop che tra una pagina e l'altra mettevano in mostra piercing e tinture per capelli improbabili. E pantaloni a zampa di elefante. Nei miei completini che facevano molto "Anna dai capelli rossi la domenica" mi domandavo come fosse possibile che mia mamma non avesse la benchè minima idea di come si vestivano le bambine negli anni '90. Le calzamaglia gialline e le paperine blu scuro mi mettevano a disagio, la stessa sensazione di esclusione che provavo quando, a danza, avevo i collant più spessi di tutte le altre e il body più sfigato del gruppo. Quello opaco. E lo chignon, con tutti quei capelli fuori posto. Le mani mangiucchiate che sfogliavano l'album di foto delle Spice Girls, composto acquistando tutti i numeri di Cioè per un anno intero. L'abbonamento era troppo caro. I tacchi di Victoria Adams. Mi resi conto che se avessi dovuto essere una Spice, magari in uno di quei giochi di ruolo che si fanno alle elementari, sarei stata la sfigatissima Melanie C, così come all'asilo ero stata per tre anni di fila Chibiusa. Come chi è Chiubiusa. E' quella piccola coi capelli rosa, la figlia futura tra Bunny e Marzio. Interpretavo lei perchè era bassa. Così, quando in previsione del saggio di danza di Natale si doveva decidere chi avrebbe fatto Biancaneve, mi misi nel mio bell'angolino a riflettere su quale fosse il nano più adatto a me. Probabilmente Brontolo. Ecco che la maestra inizia dai nani. E che palle. Mi alzo in piedi. Ma ne ha già detti sette e..beh dai la strega cattiva mi va benissimo, almeno balla da sola. -Chiara fai Biancaneve-, mi dice, senza perdere lo sguardo dal foglio. Mi sono sempre chiesta se l'avesse fatto per tatto, per non dover far interpretare il nano alla più piccola. Ma in fondo il mio collo del piede, sempre teso nello sforzo di farmi sembrare più slanciata, era il migliore, il più allenato. Sul palco da sola, la strega mi ha teso la mela e se n'è andata ghignando a gran voce. Un morso, giravolta, giravolta e giù. A terra, felice.

giovedì 29 dicembre 2011

Otto centimetri e mezzo.

Qualche soldo sparso in tasca e nessuna voglia di assecondare le moine di una commessa appiccicosa. Meglio Zara per Alice. E' un sabato pomeriggio gelido e l'unico tempore che il Natale le concede è quello della finta aria calda del grande magazzino, quasi di conforto mentre le versioni di latino se ne stanno accantonate in camera, nella preparazione di una serata che deve essere perfetta. Nessuno sguardo su Alice, gli occhi degli inservienti puntati su abiti monocromatici abbandonati da clienti insoddisfatte. Donne abbienti che dondolando bauletti da un migliaio di euro lanciano sugli scaffali pantaloni neri che più o meno seguono la tendenza di quest'anno, camicie dal taglio lievemente maschile che poco s'intonavano coi loro seni maturi e ormai cadenti. Non è tempo per la femminilità. Nemmeno nel camerino di Alice, che si spoglia di schiena per non far trapelare a sé stessa le morbidezze dei suoi sedici anni. Si sbilancia sui suoi tacchi, otto centimetri e mezzo per slanciare quelle cosce rimpinzate dalle prime mestruazioni. Così si appoggia al cartongesso per non scivolare rovinosamente e far accorrere quella culona di una commessa di colore che voleva darle una taglia in più. Immagine inevitabile. Quelle tettine gelatinose, sormontate da quei capezzoli rosei, tanto rosei che Alice è sicura, li saprebbe riconoscere solo lei. Sceglie il primo abito, quello che si può mettere anche col reggiseno. Paga e riprende il marciapiedi di via Roma. Stasera si baccaglia.